Titolo originale : “300- Rise of an empire”
Regia: Noam Murro
Interpreti principali: Eva Green, Sullivan Stapleton, Lena Headey, Rodrigo Santoro
Genere: azione
Durata: 100 minuti
Valutazione:
Inseritosi nel solco inaugurato nel 2007 da Zack Snyder con “300” , “Rise of an empire” è il midquel del film che narrava le vicende legate alla leggendaria, seppur storicamente accertata, battaglia delle Termopili, in cui il re Leonida e 300 spartani appartenenti alla sua guardia reale perirono coraggiosamente, come raccontato da Erodoto, sotto l’orda degli invasori persiani. Il film prende le mosse dalla battaglia navale combattutasi a Capo Artemisio tra la flotta persiana, guidata dalla regina Artemisia, greca di nascita, ma pervasa da un forte senso di vendetta verso il suo popolo d’origine, e la flotta greca, agli ordini del generale ateniese Temistocle, colpevole, nella finzione filmica, di aver ucciso durante la battaglia di Maratona,avvenuta 10 anni prima, il re persiano Dario I. E proprio in seguito alla battaglia di Maratona, il figlio di Dario, Serse, risorgerà dalla sua condizione umana per abbracciare le vesti e le sembianze di un Dio-Uomo, eletto dal fato ( e manipolato da Artemisia) per portare morte e distruzione in terra greca. Girata con ampio uso del Green screen e della tecnica del “chroma key”, per donare al film le fattezze di una graphic novel in movimento, rivoluzione estetica che fece la fortuna del predecessore (tratto, lo ricordiamo, dall’omonimo fumetto di Frank Miller) , la pellicola è priva del sensazionalismo mitopoietico che fece i fasti del sequel. Gli episodi storici rappresentati, pur attingendo dall’identica dimensione temporale che investe gli eventi guerreschi della guerra Greco-persiana, restano vittime di una celebrazione trionfale dell’aneddoto e dell’eventuale.
La matrice delle vicende, di per sé tra il favolistico e il chimerico, è orfana della drammaticità del prequel, di quel prorompente e avvenente lirismo del fantastico, in cui utopia e epica visiva producevano dimensioni si volgari, di una violenza esasperatamente triviale, ma di grande impatto emozionale. L’ossessione nel voler forzare ogni ruga della narrazione , di creare clamore pur all’interno di aspetti palesemente secondari diviene la patologia preponderante del film, sorretto a fatica dall’aggressiva carica erotica e dalla sensualità della Green.
In quest’ “estasi della spada e della carne” naufraga l’opera tutta ; “300 – L’alba di un impero” è una sorte di contenitore vuoto, privo di un’anima, eppur bellissimo agli occhi, appagante per i sensi, forse anche più del predecessore per suggestività paesaggistiche e scenografiche. Per tutta la durata del film si ha come la sensazione che il meglio sia già stato mostrato, che “300 –L’alba di un impero” viva di luce riflessa (e la scelta di mostrare la decapitazione del cadavere di Leonida è per questo foriera di verità). Se “300” era volutamente iperbolico, perché film d’istinti, d’ideali meno nobili ma forse più intimi e umanamente primordiali, “L’alba di un impero” è prevedibile tanto nello sviluppo quanto nelle idee sottese al plot. La speranza di chi scrive è che la decisiva battaglia di Salamina non offra la possibilità a produttori e sceneggiatori di allestire l’ennesimo carrozzone commerciale.