“Pietro Mennea-la freccia del Sud” è una miniserie prodotta da Luca Barbareschi e Rai Fiction, diretta da Ricky Tognazzi. Ripercorrendo le gesta sportive di quello che è senza ombra di dubbio un atleta simbolo della nostra terra, la fiction , oltre a narrarne non solo la più nota sfera sportiva, non disdegna uno sguardo incantato sugli affetti dell’atleta. “La freccia del Sud” è un lavoro in cui si è scelto di costruire il prodotto abbandonando totalmente la sfera dello script in favore di una celebrazione del messaggio poetico. Non potrebbe essere altrimenti per un film che mostra il fianco proprio nella puntuale ricostruzione dell’impianto narrativo, che sceglie deliberatamente di sublimarsi nell’essere veicolo di un’assurzione che va ben oltre i confini dello sport.
Il Mennea di Riondino è un personaggio forse fin troppo caricaturale, anche negli atteggiamenti (estremizzati) del suo alterego . Mascherando una pochezza intrinseca della sceneggiatura, Riondino riesce a rendersi, nel bene o nel male, il protagonista assoluto della vicenda, malgrado l’abuso di insistiti primi piani sul volto dell’allenatore Carlo Vittori, interpretato (coincidenza ?) dal produttore Luca Barbareschi. “La freccia del sud” è un dramma che si esprime nel rilievo del valore della sofferenza e in un culto, esibito, del sacrificio.
Nell’ottica di Tognazzi quindi, Mennea si innalza ad eroe delle masse, a simbolo immacolato del frutto del sudore della fronte, in una celebrazione che cede forse il passo ad una dimensione melò in salsa sportiva. La smorfia di Riondino diviene in quest’ottica perifrasi della tensione muscolare, in una fotografia apologetica che respira a pieni polmoni l’aria del cinema d’eroismo; un omaggio alla parabola consolatoria degli esclusi, che vive del conflitto metaforico tra i vinti e i vincenti. La fiction mostra di ripagare con riconoscenza il proprio debito nei riguardi di un certo cinema pseudo-sportivo americano, nella volontà di non stemperare i toni della vicenda, pur cadendo nella trappola tesa dalla ripetitività e dallo schematismo.
Il film trova la sua massima cifra stilistica, infatti, nella contrapposizione forzosa tra l’enfasi sulla cultura del lavoro e del limite fisico del singolo e l’identificazione dell’uomo-macchina in Valerij Borzov, atleta sovietico lontano dal Mennea per netta predominanza della struttura fisica; L’epica del racconto tende a ripetere se stessa, rielaborando in Pietro il bisogno continuo del confronto con la meccanicità, nella rievocazione aneddotica del giovane quindicenne barlettano e delle sfide (goliardiche) in paese alle automobili di qualche concittadino.
Testimone del passaggio di consegne tra l’individuo e automa, il record mondiale sui 200 metri piani conseguito a Città del Messico nel 1979 durante le Universiadi. Da quel momento in poi, il 19 e 72” rappresenterà un monumento del sacro furore agonistico, la dissoluzione di ogni limite e di ogni impossibilità, e una porta spalancata sul mito e sull’iconologia del corpo, della passione e del talento.