Il Paese è agitato dalla protesta del movimento dei Forconi e delle altre sigle che lo accompagnano. E’ difficile formulare un giudizio su questa iniziativa. E’ forse ancora più difficile formularlo scrivendo da una delle città, delle zone più colpite dalla protesta. Barletta e il suo circondario: secondo i giornali nazionali oggi eravamo nella top ten delle zone a più alta intensità di Forconi e affini. Ripeto: non è facile formulare un giudizio. Perché è riduttivo giudicare un fenomeno come questo dagli effetti della protesta.
Ne ho letti molti, di giudizi sommari che suonano più o meno così:”La protesta è legittima, ma obbligare i commercianti a chiudere, minacciare gli automobilisti, ostacolare il traffico è grave e ingiustificabile”. Un modo assai curioso di concepire le proteste e le manifestazioni di disagio. La protesta va bene, ma io alle 9 ho la palestra, io alle 14 devo rientrare in ufficio, alle 17 ho il commercialista, per favore organizzatevi diversamente. I negozi devono vendere, gli automobilisti devono circolare. Insomma va bene la protesta, ma che non produca alcun disagio. Una protesta educata, programmata, in orari e con modalità prestabiliti, possibilmente con un messaggio in sovrimpressione: non disturbate il conducente.
Un altro gruppo di commenti si concentra sulla matrice (sociale e politica) dei manifestanti. Eccoli diventare a seconda di chi commenta: fascisti, mafiosi, delinquenti, fannulloni, studenti svogliati, hooligan, ultras. Qui il problema non è più cosa si fa, ma CHI lo fa. E’ un problema che questo tipo di manifestazione non sia gestito, organizzato, canalizzato da una qualche forma di organizzazione di massa (si fa per dire). Non si scende in piazza così: ci vuole una piattaforma programmatica, eleggiamo dei delegati, concordiamo il percorso dei cortei e un bel manifesto con le sigle promotrici.
E invece. Chiunque abbia osservato la società italiana (o anche la sua ve
rsione micro, a Barletta) nei mesi passati non può non aver visto il livello di disagio e frustrazione che covava in strati diversi della popolazione. Che quel disagio, covato a lungo e represso in ogni direzione, sia esploso attraverso questi geyser è quasi una fortuna. Scenari assai più cupi sarebbero stati ugualmente credibili, e possibili. Certamente quella dei Forconi è una jacquerie, una rivolta senza sbocco apparente che trova nei bersagli a portata di mano/forcone (i commercianti, gli automobilisti, gli studenti) gli obiettivi più facili per dimostrare la propria (scarsa) forza. E tuttavia è suggestivo che, in un Paese anestetizzato, sonnolento, abituato ormai a incassare qualsiasi umiliazione (senza distinguo tra generazioni e status), un movimento senza risorse e senza struttura abbia conquistato, da Nord a Sud, uno spazio di protagonismo e di rivendicazione. Non è con l’atteggiamento da snob, non è con le puzzette al naso che si risponde a fenomeni come questi. A chi è pagato per farlo, ai nostri politici, ai nostri amministratori locali, sopratutto ai più giovani, si consiglia di (ri)cominciare a studiare. L’inedito, l’ignoto è già arrivato. Ed evidentemente non siamo, non siete pronti.